Succubus

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    Esiste un rimedio a tutto, se si è disposti a pagarne il giusto prezzo. Persino al più temibile orrore presente su questa terra. O forse, talvolta, la chiave per i nostri sogni è custodita proprio da ciò che più temiamo o da cui fuggiamo poiché malvagio, pernicioso e terribile.

    Alla veneranda età di cinquant’anni compresi di non aver mai conosciuto l'amore. La triste verità si palesò davanti ai miei occhi in una mattinata capricciosa del 1973, mentre passeggiavo per i viottoli isolati di Richmond riflettendo su L’esorcista, il film che avevo guardato al cinema qualche giorno prima.

    Giacché la mia mentalità calcolatrice non avesse mai concesso tempo o interesse per le emozioni umane, in particolare all’amore, non c’è da stupirsi che la vista di una coppia intenta a copulare in un’auto provocasse in me un sentimento di paura, che si sarebbe presto tramutato in angoscia.

    Si trattava di una Cadillac, dal tono rosso fiammante e le sfumature argentee, parcheggiata all’ombra di un grande salice soprastante a un prato malconcio e sfigurato dal rigido inverno. Il colore dell’auto mi sarebbe rimasto impresso nella mente per innumerevoli giorni, poiché sembrava racchiudere l’essenza del male che si stava producendo al suo interno. Inizialmente giudicai la scena con aria avversa e impaurita. Ma dopo qualche tempo, si rivelò di un’attrazione morbosa, da cui era difficile astenere i miei pensieri.

    Numerose volte ebbi l’impulso di tornare in quel luogo, dove grigi manti nuvolosi si lamentavano nel cielo, anche il giorno stesso del traumatico avvenimento, a distanza di poche ore. Tuttavia, ero ancora in grado di placare le mie voglie fatiscenti, probabile frutto di una vita vincolata ai legami di sangue.

    Dopo quel giorno qualcosa nel mio corpo mutò: un’eccitazione continua prese possesso del mio organo genitale, che fino a poco tempo prima avrei ritenuto tanto inutile quanto disgustoso, e col passare dei giorni arrivai alla conclusione che non avrei mai dovuto approfondire la conoscenza di tale emozione, così prepotente e affascinante. In ogni caso, presto mi accorsi dell’impossibilità di sottostare ad una simile legge, che sfidava la natura stessa di ogni uomo.

    Cominciai a leggere alcuni libri sull’argomento e realizzai che sino ad allora avevo condotto un’esistenza priva di senso. Che cos’è la vita senza l’amore? Che differenza c’è tra un uomo e un animale, se non quella che quest’ultimo possieda un animo e dei sentimenti? Non potevo credere che nella mia esistenza non avessi provato amore, almeno per una volta, e mi lasciai condizionare da alcuni testi, il cui obbiettivo era tentare di fornire un’interpretazione più o meno logica allo stesso e consigli per “farne buon uso”. Comprai una quantità esagerata di riviste e ridestai dal sonno alcuni vecchi tomi ammuffiti che tenevo conservati sin dalla giovane età.

    Lessi che numerosi studi sulla crescita dei figli e sull’affetto sottolineavano l’importanza del contatto fisico fin dalla nascita: le carezze e gli abbracci avrebbero un potere speciale, il potere di comunicare l’affetto e i sentimenti che, già da piccolo, il bambino riuscirebbe a comprendere, ricevere e interiorizzare. Per questo motivo, in molti ospedali si pratica il contatto pelle a pelle tra il neonato e la mamma. Ovviamente pensai a mia madre, la donna che aveva sofferto enormemente per far sì che io nascessi e ne dedussi che probabilmente avevo trovato ciò che cercavo e avrei finalmente smesso di sentirmi un uccello che non avesse mai imparato a volare.

    Ma in cuor mio sapevo che non si trattava della stessa sensazione che stavo provando e non potevo che sentirmi stolto e ignorante all’idea di non sapere cosa significasse quell’indefinibile composto di emozioni provenienti dal cuore, nonostante avessi raggiunto la mezza età. Ciò nonostante, compresi che qualsiasi forma della strabiliante emozione che mi apprestavo a studiare, avesse bisogno o provocasse, una sorta di contatto fisico. Proprio come la coppia nella Cadillac.

    E la notte stessa in cui mi dedicai alla lettura di tali teorie, che non trovavo affatto discordanti con altre o prive di fondamento, il senso di terrore che avevo provato il fatidico giorno che aveva cambiato la mia vita era tornato ad impadronirsi del mio corpo, sotto forma di incubo. O almeno così pareva.

    Ricordo ogni particolare di quella giornata. Ero rincasato in tarda serata, per via del lavoro, e avevo cenato in fretta. Una volta terminato il pasto, erano circa le tre di notte, avevo raggiunto il bagno e avevo chiuso a chiave la porta dietro di me: una di quelle strane abitudini che parevano essersi risvegliate da quando avevo subito il mutamento. Il chiavistello scattò e cominciai a masturbarmi, sotto la pallida luce di una lampadina scarna che si rifletteva in ogni mattonella del pavimento della stanza.

    Il desiderio cresceva dentro al mio corpo. Sempre più, finché non raggiungeva il culmine del piacere. Poi ancora e ancora. Infine un respiro soffocato e un singhiozzo: cominciai a piangere e mi infilai sotto la doccia, come un cane colpevolizzato per qualcosa che non aveva commesso e costretto a sorbirsi il potente spruzzo d’acqua di una pompa pulitrice. Ero sicuro che capitasse a tutti, prima o poi, di ritrovarsi a convivere con quella frustrazione: in balia di forze più grandi di qualsiasi essere umano. Nel mio caso, tuttavia, c’era qualcosa di diverso. Deforme. Aberrante.

    Aprii le ante scorrevoli della doccia e cominciai ad asciugarmi davanti allo specchio: la solita faccia grigiastra, i capelli brizzolati e la corporatura pallida e grinzosa di un cinquantenne. “Se solo potessi tornare indietro nel tempo...” pensai. “Ora sarei diverso e, probabilmente, sarei anche felice”. La lampadina, che si reggeva pericolante sopra la mia testa, sorretta da un intrico di cavi scoperti, cominciò a lampeggiare. E mentre fissavo i miei stessi occhi nel riflesso dello specchio, come per magia mi ritrovai in un altro posto.

    Sembrava un Night Club. Le luci colorate pulsavano a un ritmo regolare e della musica elettronica era sparsa nell’aria. C’erano donne svestite ovunque, che ballavano e si aggiravano per il locale in cerca di uomini da portare con loro nella parte posteriore dell’edificio. Le facce degli spettatori avevano espressioni estasiate e parevano attratti dalle spogliarelliste in maniera ossessiva. Io, invece, non lo ero affatto. Qualcos’altro provocava in me attrazione. Qualcosa che non potevo vedere.

    Mentre mi guardavo attorno, avvertii un rumore sordo, che aveva l’aria di un particolare tipo di percussione. Decisi di seguirlo e arrivai davanti alla porta dell’ultima ala del club, nera come la pece e sormontata da un cartello giallastro che recava la scritta 'Private' a caratteri cubitali. Mentre allungavo la mano verso la maniglia, un brivido di focosa adrenalina attraversò ogni nervo del mio corpo. La serratura scattò. Ogni bagliore di luce scomparve e l’anta della porta cigolò verso l’esterno.

    Seguì una folata di vento gelido proveniente dall’interno e la musica, assieme ad ogni altro rumore, cessò di insaporire l’ambiente. Cominciai a farmi strada nella sala, guidato dall’istinto e dall’attrazione: un fascino morboso, che non sarebbe riuscito a vincere neppure l’uomo dai più ferrei principi morali. Un bagliore soffuso illuminò leggermente l’ambiente, quel tanto che bastava a farmi capire in che razza di luogo ero capitato: un lungo corridoio, ai cui lati si trovavano delle piccole camere fornite di letto e comodino. Avvolto in un laccio, all’estremità dell’apertura di ogni stanza, si trovava un fascio di tessuto azzurrino che partiva dal soffitto, che sarebbe stato possibile sciogliere per far ricadere una tenda. Uno sguardo più attento mi permise di notare che uno tra i tendaggi era abbassato: l’ultima a sinistra, quella da cui proveniva il fascio di luce.

    Essa si sprigionava all’esterno dai bordi che lo stralcio di tessuto celeste non riusciva a coprire e quando arrivai in prossimità della stessa, mi parve di trovarmi di fronte a qualcosa dalle attitudini fiabesche e assai bizzarre, meraviglioso e innaturale.

    Un insolito piacere cominciò a farsi strada nel mio corpo, sempre più velocemente, e una sporgenza si presentò al cavallo dei miei pantaloni. Scostai il tessuto azzurro ed entrai nella camera. Un odore, dapprima piacevole come il profumo delle fragole e poi terribile quanto gli stessi frutti, ma marci o avariati, si fece strada nelle mie narici.

    Da sotto al letto si diffuse pian piano il ritmo che in precedenza avevo associato a percussioni di un tamburo, e fui sorpreso nel notare che non si trattava affatto di uno strumento a produrre quel suono. Al contrario, era più simile al rumore che avrebbero prodotto le nocche di una mano battute contro le assi di parquet da cui era composto il pavimento.

    Il bagliore biancastro non proveniva da nessun punto definito: sembrava sprigionarsi contemporaneamente da ogni angolo della stanza e da nessuno. Inizialmente, la mia concentrazione era flebile quanto il riflesso della luce, per via del gradimento che stavo provando e che, ad un certo punto, portò il mio corpo ad un livello di estasi indescrivibile. Tant’è che caddi sulle mie ginocchia, in preda ad un ghigno insano e un’intensa, quasi dolorosa, eiaculazione.

    Ero talmente appagato, che credetti di aver finalmente ottenuto ciò che desideravo e le risposte alle mie tante domande si riassumevano in un nulla cosmico: non mi importava più di niente. Intanto, qualcosa nella stanza si mosse. I battiti delle nocche cessarono e dal lato posteriore del letto giunse un fruscio, che pareva aumentare sempre più, inerpicandosi su per le coperte. E quando i miei occhi socchiusi ebbero la prontezza di levarsi al di sopra della superficie del materasso, fecero fatica a mantenersi nelle orbite per via dello sgomento.

    La paura che provocò in me quella scena superò di gran lunga ogni altra esperienza che prima di quel momento avrei definito spaventosa. Sopra il letto si trovava un braccio abnorme, nero come l’ala di un corvo, che tentava di erigere il resto del corpo sulla branda. Una mano scura, provvista di artigli, ognuno più affilato dell’altro, provava ad aggrapparsi alle lenzuola, distruggendole, e producendo quel fruscio di morte che la sensazione di piacere aveva mascherato sino a quando non era terminata. Urlai. E ben presto svenni.

    Dopo un lungo respiro si parò davanti a me la vista del soffitto del bagno. Ripresi conoscenza e notai che mi trovavo disteso sul pavimento, nudo e infreddolito. Non seppi mai se avessi sognato o se avessi immaginato tutto quanto. Per quella notte non dormii affatto e nemmeno nei giorni che seguirono. Continuavo a pensare a ciò che era accaduto e desideravo tornare in quel luogo, per ritrovare quel piacere perduto, che mai avrei creduto di poter raggiungere. Tuttavia, ricordavo anche l’orrore a cui avevo assistito e la fantasia si affievoliva.

    Cominciai a trascorrere intere giornate con lo sguardo inebetito rivolto al televisore. Talvolta, mi incantavo e raggiungevo uno stato simile al dormiveglia o al sonnambulismo, in cui orribili visioni si facevano strada nella mia mente e, ogni volta, mi ridestavo da quel sonno innaturale gridando e agitandomi in preda a vere e proprie crisi convulsive, cui prima del singolare avvenimento non avevo mai avuto. Iniziai a dormire al sorgere del sole e il mio appetito si fece sempre più scarso.

    Niente pareva più avere un senso e, senza rendermene conto, smisi persino di lavorare o uscire di casa. Il mio volto era costantemente contratto in un’espressione sconvolta e drammatica: i sopraccigli sembrarono essersi abbassati partendo dalle estremità esterne. Mi domandavo spesso se fosse stata la mostruosa entità a provocare in me l’attrazione sublime in quella sorta di sogno nel Night Club. E, come accadde per la coppia che copulava nella Cadillac rossa, la paura si tramutò in desiderio. Con grande stupore, mi accorsi che quella creatura ripugnante era ormai al centro delle mie scariche di piacere.

    Bramavo quel corpo. Bramavo ogni singolo, viscido e nero lembo di pelle di quella mano sanguinolenta. Ma ahimè, non sapevo a quali forze andavo incontro!

    In una notte, verso la fine di Ottobre, l’incubo si tramutò in realtà. Sicché avessi smesso di dormire durante la notte ormai da qualche settimana, mi parve strano trovarmi disteso nel letto della mia casupola, mentre la luna regnava incontrastata nei cieli di Richmond. Tuttavia, non avevo intenzione di appisolarmi e neppure di dormire. Ero sul letto per riflettere, perché di lì a poco avrei provato a simulare l’inenarrabile scena che avevo vissuto nell’incubo.

    Il disperato tentativo aveva l’unico scopo di arrecare al mio corpo l’ebrezza che aveva provato negli attimi sfuggenti in cui la mia mente era evasa dalla realtà. Sistemai persino un panno di tessuto azzurrino davanti alla porta della stanza da letto e infilai una lucina da notte nella presa di corrente dietro al comodino, per ricreare l’atmosfera appropriata. Aspettai che battessero le due di notte. Il mio cuore scalpitava e un leggero tremolio si diffuse su per le gambe. Pazientavo davanti al tendino improvvisato, in piedi e con gli occhi socchiusi, che ogni tanto sbirciavano curiosi verso l’orologio del salotto. E proprio mentre il demone della fiacchezza cominciava a farsi sentire, arrivò il momento che avevo tanto desiderato.

    Le lancette, nel quadrante vecchio e logorato dell’orologio, segnarono le due esatte. Con un gesto lento e accurato, scostai il lembo di tessuto dall’estremità sinistra dell’entrata. Avevo predisposto la porta in modo che al mio ingresso fosse già aperta e in tal modo vidi immediatamente la mia camera, riflessa da una luce smorzata, cui sarebbe stato difficile stabilirne la provenienza.

    Mi inginocchiai di fronte al letto e provai ad immaginare blasfemie simili a quelle cui avevo assistito il fatidico giorno della visione. Però, mio malgrado, capii subito che non ci sarei riuscito. Ci sono persone, al mondo, che hanno una fervida immaginazione, che arrivano addirittura a provare delle allucinazioni: io non ho mai creduto d’essere una di queste.

    Mi abbandonai comunque al solito rito di masturbazione disperata e richiusi gli occhi in un turbine di depressione. Un capello bianco, ormai esausto, cadde dalla mia testa. Mentre il movimento della mano destra procedeva regolare e cominciava a bagnarsi, alzai lo sguardo, e notai che il rituale si stava rivelando più piacevole del solito. Le mie pupille si destarono sotto le palpebre. All’apice dell’incanto caddi stordito sul pavimento gelido. Dopo qualche istante, sentii uno strano ticchettio, simile al rumore che avrebbero prodotto le nocche di una grande mano battute regolarmente sulla superficie del pavimento, svanire lentamente sotto il letto. Un odore, come di fragole marce, si levò improvvisamente dal suolo. Il mio volto tirò i muscoli facciali in un’espressione di sbalordimento, e fu allora che l’orrore divenne una realtà incommensurata: non avevo sistemato nulla sotto al letto che potesse emettere quel suono. Mi sollevai dal pavimento ghiacciato e, impaurito ma al contempo rallegrato, poiché nel distorto organo che avevo al posto del cuore si era riaccesa una speranza, cominciai a cercare la fonte del rumore nella minuscola camera.

    Qualche minuto di eccitante ricerca bastò a convincermi che non c’era proprio niente di strano o rilevante nella stanza, oltre alle pareti che andavano sgretolandosi, il soffitto ammuffito, il mobiletto d’acero che fungeva da comodino, dietro cui avevo posto la luce da notte, e il letto di ferro, ricoperto da un lenzuolo verde sciapito.

    Allungai un braccio verso la lucina e la staccai dalla presa di corrente: il gioco perverso era terminato, o almeno così pareva. Non c’era più niente da fare o da vedere e decisi che, per quanto quella serie di bizzarri eventi potessero aver influenzato, confuso e cambiato la mia mente, avrei dovuto sforzarmi di riprendere a vivere come avevo fatto sino al giorno prima che avessi visto la coppia nell'auto rossastra.

    Tuttavia, proprio mentre attraversavo l’uscio della porta e aprivo la tenda, qualcosa avvinghiò la mia gamba, all’altezza della caviglia. Era buio e non capii subito di cosa si trattasse. Pensai di essere inciampato o di essermi incastrato il piede dentro qualcosa, che potesse essere… non so… un mucchio di coperte aggrovigliate? Ma sentii che la stretta aumentava e che, l’entità, mi stava trascinando all’indietro. Non opposi resistenza e in men che non si dica fui inghiottito dal buio incrostato della camera.

    Oggi non so dire che giorno sia, ma posso confermare che da quel momento cambiò tutto, per sempre. Ho smesso definitivamente di mangiare e non ho più bisogno di luce. La mia casa è immersa in una totale oscurità e non mi serve nient’altro, se non le sue carezze, i suo abbracci e il suo fiato, simile all’odore di frutti marci. Quando ci siamo incontrati per la prima volta ho avuto paura, lo ammetto. Ma non si può dire che non sia stato amore a prima vista.

    Ho finalmente trovato la mia anima gemella e, che dire… l’amo! Dio solo sa quanto l’amo! Il tempo non esiste più e la penso sempre, sino a che non arriva improvvisamente, portando con sé il piacere sfrenato che provai il giorno in cui ci incrociammo. Non so quanto vivrò in queste condizioni, ma ogni volta che tasto il suo corpo sproporzionato e le sue seducenti dita scheletriche, perdo sempre più la voglia di dedicarmi alle abitudini terrene degli esseri umani. Tra le altre cose, la mia amata ha un ottimo senso dell’umorismo: dice di chiamarsi Succubus e di conoscere questa terra da prima dell’essere umano.

    Edited by @AnthonyInBlack - 13/10/2020, 19:46
     
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