Essere o Esistere

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    Gentlement

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    Se non sei corpo, in questo mondo, non sei nulla;
    vedere oltre gli occhi ormai non è normale
    identità non più vera, non altro che fasulla,
    speranza senza vita; non infinita, ma mortale.

    Credevo in tutto e la fiducia, mia grande culla
    Ha portato via ogni cosa ha reso ognuno a me rivale.
    Hai fatto, della donna, la più grande burla.

    Senza chiedere ufficio e assente d’ogni morale
    fece ogni anima divenir grulla
    più semplicemente senza fatica e lavorare
    prese possesso della vita senza urla.



    Ogni giorno, nelle nostre vite siamo bombardati di immagini che, susseguendosi, creano nella nostra mente l'Ideale. Un ideale che non può essere raggiunto, che è sempre pronto a farci sentire inferiori a chiunque altro. In TV, radio, per strada, su internet, in pubblicità di ogni genere; ovunque noi giriamo la testa, non potremmo che trovare immagini di perfezione assoluta. Immagini che esistono.
    Nel corso della storia dell'uomo filosofi di ogni epoca hanno discusso ampiamente la differenza tra essenza ed esistenza, ma quando è iniziato tutto?

    Tra il 428 a.C. ed il 347 a.C. visse Platone, un filosofo ateniese che, insieme al maestro Socrate e all'allievo Aristotele, ha fornito le basi per la costruzione del pensiero filosofico occidentale. Platone fu il primo a differenziare essenza ed esistenza parlandone in termini di separati; il mondo sensibile (esistenza) esisteva appunto solo in funzione dell'iperuranio, il mondo delle idee, che rappresentava per il filosofo l'essenza stessa. L'allievo Aristotele si allontana invece da questo pensiero e descrive come esistano diversi modi in cui gli oggetti possano essere; così facendo Aristotele ha dato vita all'ontologia: quella branca della filosofia che si occupa di studiare l'essere. Il filosofo ci parla dell'esistenza come di un sinolo che unisce materia e forma.

    Avvicinandoci alla contemporaneità nasce con Kierkegaard la filosofia dell'esistenza. Kierkegaard vive tra il 1813 e il 1855 e parla dell'esistenza come possibilità che ha l'uomo di stare nel mondo terreno, relazionarsi con la società e Dio. Dopo un lungo periodo di pensiero idealista e universale dovuto alla filosofia hegeliana, Kierkegaard cambia drasticamente il soggetto della sua filosofia che passa dal generale al singolo. Descrive come l'uomo abbia infinite possibilità e come queste stesse lo portino a cadere in un abisso. Definisce, inoltre, tre stadi della vita: stadio estetico (Don Giovanni) caratterizzato dalla possibilità che porta alla disperazione, stadio etico (marito) dove è estremamente presente il senso del dovere, della fedeltà e dell'universalità che però porteranno al pentimento; infine, lo stadio religioso (Abramo), l'uomo in questo stadio ha un rapporto individuale e solitario con Dio, con la presenza costante però del dubbio che causerà nell'uomo un senso di timore e tremore.
    "Ci sono uomini che sono sfruttati perfino da Dio: sono profeti e santi, nella vacuità di questo mondo." (Fernando Pessoa - Il libro dell'inquietudine, Feltrinelli Editore Milano, ottobre 2000)
    "La sofferenza e l'angoscia del paradosso consistono nel silenzio. Abramo non può parlare. È dunque contraddittorio chiedere che lo faccia, a meno di non liberarlo dal paradosso; così che egli sospenderebbe all'istante decisivo, cessando perciò di essere Abramo." (Kierkegaard - Timore e tremore, Mondadori, Milano 1991)
    L'uomo ha sempre vissuto un rapporto difficile con la propria esistenza, un rapporto che si intensificava nei momenti difficili della storia (come ad esempio guerre o crisi) o che si alleviava nei momenti più felici. Esiste una domanda; una domanda che tutti prima o poi si pongono nella vita. Una domanda per la quale non esiste, però, una risposta corretta: "che ci faccio qui?" In molti hanno provato a rispondere a questa domanda, Bruce Chatwin, uno scrittore inglese, vi ha
    dedicato un'intera opera: "Che ci faccio qui?" (Titolo originale: What am I doing here?").

    Bruce Chatwin fu uno scrittore e un viaggiatore inglese vissuto tra il 1940 e il 1989. B. Chatwin poneva al centro della sua opera l'inquietudine umana, cercando di dare una risposta alle domande di senso dell'umanità. Guardava agli esseri umani come dei migratori che una volta stabiliti in un posto, cambiavano comportamento e bisogni, diventando avidi e violenti. La migrazione e il viaggiare erano, per Chatwin, l'unico modo che aveva un essere umano di dare un senso alla propria vita, di scoprire il perché della loro esistenza. In "What am i doing here" Chatwin spiega il tema del viaggio, ritenuto un enorme topoi della letteratura. I suoi personaggi avevano sempre viaggiato in tutto il mondo per trovare il loro posto o il loro scopo per la vita, ma per Chatwin ciò che rappresenta la natura umana è il viaggio stesso. Lo scrittore avrebbe detto "siamo fatti per viaggiare", come egli in realtà fa in "The Nomadic Alternative".
    La domanda: "che ci faccio qui?"; non avrebbe quindi una risposta secondo Chatwin, poiché un "qui" non dovrebbe esistere. L'unico mezzo che abbiamo per scoprire il motivo della nostra esistenza sarebbe viaggiare e quest'ultima azione risulterebbe essere anche la risposta alla nostra domanda. Il tema del viaggio è sempre stato presente nella letteratura mondiale, a partire dalle "Argonautiche" di Apollonio Rodio dove Giasone accetta un'impresa per riuscire ad adempire al senso della propria vita: diventare re di Ioldfghco; e completare quindi la sua essenza; alla "Divina Commedia" di Dante Alighieri, in cui il viaggio che lo stesso scrittore compie nel mondo dei morti gli permette di correggere la propria essenza.
    "La vera casa dell'Uomo, non è una casa, ma la strada" (Bruce Chatwin - What am I doing here?, Gli Adelphi, Milano 2004)
    "La vita stessa è un viaggio da fare a piedi" (Bruce Chatwin - What am I doing here?, Gli Adelphi, Milano 2004)
    Si potrebbe quindi considerare il viaggio come mezzo di scoperta, un'esplorazione reale e surreale del mondo e della nostra esistenza, o della nostra essenza. L'esistenza, in cosa consiste però? E l'essenza?

    Sartre, filosofo esistenzialista francese vissuto nel 20esimo secolo, scrive chiaramente nel suo saggio "L'Esistenzialismo è un Umanesimo" che l'essenza è in realtà preceduta dall'esistenza, poiché l'uomo può decidere di essere sotto vari aspetti e quindi protrarre un'esistenza di un certo tipo invece di un'altra, non può invece decidere di non esistere in quanto umano e se anche morisse ancora nel feto della madre, questi sarebbe esistito a priori. Essendo quindi l'esistenza umana una caratteristica intrinseca dell'uomo che viene rilevata a priori, questa non può che essere la base per la costruzione di una certa essenza. Sartre si avvicina di conseguenza ad una visione più aristotelica dell'ontologia umana
    "[...]vi esistono due specie di esistenzialisti: gli uni che sono cristiani, e fra questi metterei Jaspers e Gabriel Marcel, quest'ultimo di confessione cattolica; e gli altri che sono esistenzialisti atei, fra i quali bisogna porre Heidegger, gli esistenzialisti francesi e me stesso. Essi hanno in comune soltanto questo: ritengono che l'esistenza preceda l'essenza, o, se volete, che bisogna partire dalla soggettività." (J.P. Sartre - L'Esistenzialismo è un umanesimo, Ugo Mursia Editore s.r.l., Milano 2008)
    Anche guardando la definizione del verbo essere sull'enciclopedia Treccani viene scritto: "[...]è la parola che ricorre più frequentemente nel discorso e la più necessaria all'espressione del pensiero. Differisce da tutti gli altri verbi perché nel suo uso assoluto non <<determina>> il soggetto, ma soltanto lo <<pone>> come esistente."; il verbo essere quindi, se non utilizzato come predicato nominale o semplicemente nella sua forma più pura, non incide sull'essenza, ma pone la situazione di esistenza. L'esistenza quindi è principio fondamentale dell'essenza e non potrebbe essere il contrario a causa della sua unicità ed invariabilità poiché posso esistere in una sola forma: la mia; non ho altre possibilità di esistenza, ma per quanto riguarda la mia essenza, questa stessa, ha talmente tante possibilità ed è così effimera e variabile che mai potrei dare una definizione certa della mia essenza. Sono le nostre azioni, i nostri comportamenti, le scelte che facciamo che cambiano la nostra essenza, ma sul piano esistenziale siamo tutti uguali; tutti esistiamo sotto forma di umani (se della razza umana stiamo parlando).

    Per ora abbiamo parlato di personaggi esteri, al di fuori della nostra patria, ma anche noi, nella nostra cultura letteraria, abbiamo autori che riflettono sull’esistenza e l’essenza, come ad esempio Pirandello.
    Luigi Pirandello nato a Girgenti nel 1867 da famiglia borghese agiata. Influenzato sin da subito all’educazione patriottica e al culto dei valori risorgimentali, condivideva idee anarchiche con amici e intellettuali a Palermo durante i suoi studi, Molto importante però è la sua visione della vita che ha come base una concezione vitalistica, ovvero tutta la realtà è vita ed in continua trasformazione seguendo un flusso. Siamo dotati di una forma che ci viene data da noi stessi e dagli altri, questa altro non è che una maschera, che ci fa pensare di essere uno, ma in verità siamo centomila, quindi nessuno.


    "Sono diverso da loro solo perché scrivo" (Fernando Pessoa - Il libro dell'inquietudine, Feltrinelli Editore Milano, ottobre 2000)
    "Ognuno di noi è più d'uno, è molti, è una prolissità di sé stesso." (Fernando Pessoa - Il libro dell'inquietudine, Feltrinelli Editore Milano, ottobre 2000)
    È evidente che il poeta portoghese Fernando Pessoa abbia una concezione dell'esistenza analoga a quella sartriana. Pessoa visse
    tra il 1888 e il 1935 ed in tutta la sua produzione poetica il tema dell'essenza è perpetuo. La caratteristica per la quale il poeta è così conosciuto è la particolarità degli "eteronimi" (artificio poetico da lui stesso inventato) che differiscono però dagli pseudonimi. Pessoa creava questi nomi, questi poeti fittizi, dava loro un'esistenza. In seguito però durante la produzione stessa della poesia, questi poeti ex immaginatio si creavano. Pessoa dava loro delle vere e proprie personalità poetiche. Si fece Dio del nulla e i "poeti" si davano un'essenza, assumevano personalità e comportamenti diversi tra loro
    anche nello stile di produzione.
    "Com uma tal falta de gente coexistìvel, como hà hoje, que pode um homem de sensibilidade fazer senao inventaar os seus amigos, ou quando menos, os seus companheiros de espìrito?"
    "Con una tale mancanza di gente coesistibile come c'è oggi, cosa può fare un uomo di sensibilità, se non inventare i suoi amici, o quanto meno, i suoi compagni di spirito?" (Fernando Pessoa)
    Pessoa ha introdotto, più di Settanta anni fa uno tra i problemi della società che purtroppo è ancora molto presente: la società spesso si ferma ad esistere, molte persone ormai non sono più neanche capaci di ragionare con la propria mente e spesso si affidano in tutto e per tutto a trascendenze di ogni tipo, dimenticando che anche Dio ci ha donato il libero arbitrio che purtroppo viene affidato troppo spesso da noi uomini ad altri uomini, che decidono ogni cosa per noi, come se questi fossero essi stessi un dio. Nietzsche, filosofo nichilista per antonomasia, nel 1887 quando scrive "Genealogia della Morale" tratta di come la morale del genere umano sia decaduta; dà delle cause a questo decadimento, che possono essere o meno condivise, e la moralità dell'uomo diventa così nefasta.






    Se non sei corpo, in questo mondo, non sei nulla;
    vedere oltre gli occhi ormai non è normale
    identità non più vera, non altro che fasulla,
    speranza senza vita; non infinita, ma mortale.

    Credevo in tutto e la fiducia, mia grande culla
    ha portato via ogni cosa ha reso ognuno a me rivale.
    Hai fatto, della donna, nel mondo la più grande burla.

    Senza chiedere ufficio e assente d'ogni morale
    fece ogni anima divenir grulla
    più semplicemente senza fatica e lavorare,
    prese possesso della vita senza urla.





    Bibliografia:
    • Fernando Pessoa, Il Libro dell’inquietudine, Feltrinelli, Editore, Milano, ottobre 2000

    • Søren Kierkegaard, Timore e Tremore, Mondadori, Milano 199

    • Bruce Chatwin, What am I Doing Here?, Gli Adelphi, Milano 2004

    • Jean Paul Sartre, L’Esistenzialismo è un Umanesimo, Ugo Mursia Editore s.r.l., Milano 2088

    • Sergio Givone, Francesco Paolo Firrao, Filosofia, vol.3, a cura di Fausto Mariani, Edizioni Bulgari

    Sitografia:
    • Enciclopedia Treccani Online www.treccani.it/enciclopedia/

    • Wikipedia www.wikipedia.com
     
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