La Storia di Elsa Pitch.

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    Questa, di cui vado a narrare, è la storia della piccola Elsa Pitch, una graziosa bambina di dodici, una bambina di estrema bellezza che abitava in un antico maniero sulle colline di Dover. Elsa Pitch era una bambina la cui bellezza era paragonabile a quella delle divinità greche, come Artemide o Atena. Lunghi capelli corvini che raggiungevano metà schiena, occhioni neri, guance rosee e un viso imbronciato la rendevano la più carina di tutta Dover. Indossava sempre un vestino blu notte, con un fiocco rosso al centro del colletto, scarpette nere e portava sotto il braccio un vecchio orsetto di peluche cucito da sua madre, purtroppo, stroncata da un male incurabile. Elsa Pitch non parlò per mesi da quel tragico evento, era sempre chiusa in camera sua, abbracciata all’unico ricordo della madre, ovvero l’orsetto.
    Il padre era sprofondato nella spirale della paranoia, ma non mostrava segni evidenti. Elsa lo sapeva, gli occhi del padre mentivano e lei conosceva la verità.

    L’autunno giunse in fretta quell’anno, il 1905 e Elsa guardava dalla sua piccola finestra le foglie danzare nel vento, sospirando e ricordando sua madre. Ma c’era altro per la quale lei era sempre in casa.

    ‘’Elsa, io vado a lavoro. Tornerò presto.’’ Disse il padre.

    Gli occhi si fecero pesanti, il mondo si offuscava e il buio avanzava, il sonno avvolgeva la piccola bambina, lentamente, sempre di più.
    Il piacevole mondo dei sogni attendeva il suo arrivo, ma il ponte di quel regno era scomparso.

    ‘’Elsa, bambina mia, fuggi da quella prigione.’’

    ‘’Madre? Madre perché mi avete abbandonata?’’

    ‘’Non ti ho abbandonata, piccola mia. E’ stato…’’

    Quel sogno fu interrotto dalla voce del padre, preoccupato per averla trovata addormentata sul freddo pavimento in parquet. Il suo abito stropicciato, il cappello schiacciato dalle scarpe nere e lucide furono le prime cose che la piccola notò, così come il cielo blu scuro fuori dalla finestra. Era sera, la luna splendeva nel cielo e la luce entrava nella sua piccola camera.

    ‘’Elsa, cosa ti è successo, bambina mia?’’

    ‘’Non mi ricordo…’’

    La sera stessa ci fu un gran banchetto con i soci del padre, ma Elsa non si sentiva in vena di cenare con loro, restò in camera, seduta sul letto, abbracciando il suo orsetto. Cosa voleva dirle sua madre? Per caso suo padre era il colpevole della sua morte? Troppe domande a cui dare poche risposte, o nessuna.

    Un senso d’angoscia la fece trasalire, brividi lungo la schiena per poi, come tante zampe di un ragno, raggiungere la nuca.
    La paura era così forte che si addormentò nella posizione in cui era, stringendo il suo orsetto tra le mani.
    Un sogno? No, questa volte era un incubo.

    Un terribile incubo.

    Una cupa foresta di alberi spogli, secchi e ricoperti da fuliggine, rami acuminati che sembravano perforare un cielo brullo e la terra fangosa, sterrata e quasi impossibile da camminarci.
    La bambina si sentiva disorientata e impaurita, ogni minimo rumore, scricchiolio poteva nascondere qualsiasi minaccia. Più avanzava, più la foresta si faceva fitta, più le insidie aumentavano, finché l’oscurità non l’avvolse del tutto.

    ‘’Non è reale, non è reale…’’ Ripeteva la piccola bambina, stringendo il suo peluche.
    La terra, improvvisamente, cominciò a ruggire, come un leone affamato, crepe lunghe quanto un serpente, gli alberi venivano inghiottiti dal terreno, lasciando spazio ad una creatura antropomorfa, dalla pelle decadente, secca e grigiastra, occhi verdi opachi e una bocca con denti acuminati, le costole sporgevano dal costato, creando dei rigonfiamenti sulla pelle, la bava della creatura colava da due enormi fori posti ai lati della bocca.

    ‘’Che…cosa sei?’’ domandò Elsa, spaventata. Le parole uscivano tremolanti.

    ‘’Cosa non sono, mia giovane Elsa. Ti chiederai, come io possa conoscerti, vero? Sono sempre stato con te, da quando sei nata fino ad oggi. Io sono la tua coscienza. Sono sempre con te, soprattutto in questo momento critico della tua giovane infanzia. Tuo padre nasconde un terribile segreto, qualcosa che va ben oltre ciò che conosci o ti ha sempre detto.’’

    ‘’Che tipo di segreto?’’ domandò la bambina appoggiando il peluche davanti la bocca, come per proteggersi.

    La creatura si avvicinò lentamente, socchiudendo gli occhi verde smeraldo che in quel ‘’mondo’’ perverso sembravano due enormi buchi neri.

    ‘’Lo scoprirai a tempo debito.’’

    Buio. Terrificante e impenetrabile buio, come la notte che sovrasta le nostre teste.
    Occhi aperti nell’oscurità, terrore nel cuore e sudore che scivola lungo la superficie liscia della pelle, respiro mozzato, come se fosse strozzato da una morsa di ferro, le parole non trovano spazio per poter uscire, sono incatenate nella gola, il cervello ordina di urlare, ma come, se la paura è più forte di qualsiasi altra cosa?

    Uno spiraglio, un unico spiraglio di luce fuoriusciva da uno spicchio della porta della camera di Elsa. Una luce fioca, pallida e debole, ma percettibile all’occhio della piccola bambina. Aprì leggermente la porta per scoprire suo padre seduto su una poltrona logora, un bicchiere di whisky sul piccolo tavolo di legno, davanti ad un camino pronto a spegnersi.
    Una voce, un sibilo che diceva:

    ‘’Mi dispiace…mi dispiace per quel che ti ho fatto, mia amata…’’

    Elsa sbarrò gli occhi a quella frase. Suo padre era un assassino? Era lui il colpevole della morte della madre? La creatura del suo sogno aveva ragione, suo padre nascondeva qualcosa di molto terribile e quel qualcosa è stato svelato, ma perché farlo?

    I giorni passavano, come i mesi e Elsa si apprestava al celebrare il suo tredicesimo compleanno. Era diventata molto bella con il passare dei mesi, e anche suo padre cominciava a cambiare, era sempre più paranoico.

    ‘’Devi rimanere in casa, la tua incredibile bellezza può attirare cattive persone che ti rapiranno. Sei l’unica cosa che mi è rimasta.’’ Ripeteva sempre ad ogni tentativo della piccola di uscire di casa.

    Era diventata più alta, i suoi capelli era diventati così lunghi che li doveva tenere legati da un enorme fiocco rosso, con una piccola perla al centro, lasciando solo due lunghe ciocche che le cadevano lungo le guance rosee. Quel pomeriggio autunnale, Elsa era da sola in casa, ballava con il suo peluche, un po’ rovinato a causa del tempo e con un occhio mancante. Lo fece volteggiare così tanto che finì su una libreria lì vicino.
    La bambina prese uno sgabello e cercò in tutti di modi di recuperarlo e alla fine, con molti sforzi riuscì a recuperarlo, ma perse l’equilibrio e cadde, portando con se il libro. La libreria iniziò a muoversi, rivelando un grande corridoio semi buio.

    La curiosità fu subito arrestata, perché il padre tornò subito a casa e, come un fulmine, rimise il libro al suo posto e la libreria si chiuse.

    ‘’Elsa, c’è qualcosa che non va?’’ chiese il padre vedendola arrossata e con il fiatone.

    ‘’ No, padre, tutto bene. Mi sono solo sforzata troppo per recuperare il mio orsetto sulla libreria.’’ Rispose Elsa con un enorme sorriso.

    ‘’Non farti male, mi raccomando.’’

    Più il tempo passava, più il comportamento del padre cambiava negativamente.

    Mancavano tre mesi al suo ottavo compleanno, ma il padre di Elsa era ormai cambiato, sempre triste, rispondeva con tono aggressivo o rompeva oggetti nella casa. Non era più suo padre, era un mostro che indossava la sua pelle.
    Lo zio di Elsa cercò di portarla a Manchester, nella sua campagna, ma fu respinto con violenza, riportando un occhio nero e una grossa ferita sulla testa, causata dal bastone di ferro che portava con se.

    La scintilla che fece scattare la paranoia in omicidio fu l’ennesima richiesta da parte della bambina di lasciare il maniero.

    ‘’Ora basta Elsa. Sono stanco delle tue richieste, dei tuoi piagnistei. Se non posso tenerti con me…nessuno ti avrà.’’

    Con queste parole, il padre aprì una porta, rivelando un dobermann malnutrito e molto aggressivo, che si scagliò contro la bambina.
    Elsa lo colpì con il peluche e ne approfittò per scappare via, verso quell’enorme corridoio che aveva scoperto dietro la libreria.
    Le lacrime le solcavano il viso, il cuore batteva all’impazzata e la salvezza era a pochi metri.
    Raggiunta la libreria, tolse il libro con rapidità e scivolò all’interno.

    Il cane la inseguì fin dentro il corridoio, azzannandola alla gamba e al petto, affondando i suoi canini nella carne.
    Il padre, come se si fosse risvegliato da una sorta di trance, raggiunse il cane che stava sbranando la povera bambina, che piangeva e urlava dal dolore.

    Un colpo.

    Il cane fu ucciso dal padre.

    Elsa giaceva vicino la parete, con il volto sporco di sangue e lacrime, i capelli scompigliati e il fiocco distrutto.
    Respirava a fatica e i suoi occhi faticavano a rimanere aperti.

    ‘’Oh…Elsa…mi dispiace…io mi sono lasciato possedere dalla paranoia di perderti…Io…’’

    Elsa, con le sue ultime forze, accarezzò la guancia del padre e, quasi come un sussurro, disse:

    ‘’Non è…colpa tua…’’

    Il padre, disperato e piangente, strinse a se la bambina, singhiozzando.

    ‘’Ti voglio bene…papà…’’

    La mano cadde sul pavimento, con un tonfo.

    Il pianto disperato di un padre, rimasto solo ormai, fu l’unica cosa che si sentì in quella cupa giornata.



    Ti voglio bene papà.

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    Mancavano tre mesi al suo ottavo compleanno. -> Ma era 12enne.


    Molto carina, Kai, ma mi è dispiaciuto troppo per il cane.
     
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    Devo correggere, lo so, ma in questo momento non ho molta voglia.
     
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    Morde, oh Morde... :piango:

    A parte gli scherzi, questa storia è molto molto adatta alla categoria, non posso non congratularmi. Fin troppo triste, perdinci!
     
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    Bella storia, triste, molto completa.
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    In questo momento mi sento come il padre.
     
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    Non è un buon segno.
     
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    "Il solo immaginare che ti sto uccidendo mi ha fatto venire un sorriso in volto "

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    Io ho ricevuto l'aggressione di un cane la scorsa estate. Se non fosse stato per la mia altezza(era un futtuto pitbull giovane),mi avrebbe azzannata alla gola e sarei morta,(era arrivato quasi alla spalla).
    Comunque è davvero orribile e triste questo racconto,mette tristezza e un'pò di paura.
     
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